Il silenzio non è certo una caratteristica di questo secolo in cui l’uomo ha impostato tutto il suo benessere sul dinamismo vorticoso e caotico di una vita frenetica, eternamente in affanno nel rincorrere il tempo che non è più capace di vivere. 

Fino a pochi mesi fa quasi nessuno poteva scommettere sul fatto che saremmo tornati ad ascoltare, dal chiuso delle proprie stanze, un mondo in cui l’azione umana era ridotta ai minimi termini.

Eppure, forse proprio in quel momento, abbiamo scoperto il valore dell’attesa paziente e silenziosa, la necessità anche musicale della pausa, la sospensione come atto irrinunciabile dell’esistenza, l’assenza di azione come nuova possibilità di attenzione e quindi di ascolto di un altrove, di un universo che sa comunicare anche senza l’uomo.

Temi che per lungo tempo hanno segnato le riflessioni teoriche e le ricerche plastiche di uno scultore attento come Claudio Borghi, che con la sua arte ha compiuto lo sforzo di trascrivere quell’immaginario livido del vuoto che si genera intorno alle cose, restituendoci in scultura l’immagine concreta di una realtà che fino a pochi mesi fa era pura visione sottratta al fluire quotidiano.

L’artista milanese ha individuato una cornice suggestiva per presentare i suoi lavori in Umbria.

La scelta di un luogo simbolo, come Palazzo Ducale a Gubbio, instaura infatti un’immediata relazione visiva tra la poetica dell’artista e l’architettura della città.

Lo slancio verticale ed esile delle sculture di Borghi, che sembrano talvolta proiettarsi come lunghi steli verso il cielo, o in solidi blocchi di lamiera regolare, assemblati l’uno accanto all’altro, sembrano dialogare con l’idea di una città verticale, costruita per terrazzamenti sovrapposti e volumetrie pensili adagiati alla collina, com’è di fatto l’urbanistica storica di Gubbio.

Palazzo Ducale da questo punto di vista rappresenta il vertice della città, capace di collegare la parte medioevale con quella rinascimentale in un raccordo architettonico che unisce tempi e altezze diverse.

Proprio insinuandosi nella pancia del palazzo, nel punto in cui i pilastri del Rinascimento affondano nei resti archeologici, si apre un’intercapedine in cui il silenzio pervade l’ambiente restituendo quella spaesante atmosfera di un tempo fisso, imbalsamato in attesa di un tempo nuovo.

Su questo incrocio di livelli storici, le sculture di Borghi si inseriscono in un serrato dialogo con lo spazio, spostando il livello di narrazione visiva, dall’archeologico al contemporaneo.

L’opera di Borghi, pur innestandosi su forme naturali e geometriche che hanno in Giacometti un modello di riferimento, sono generate da una necessità che trova la sua unica possibilità di realizzazione nell’ astrazione idealizzante della mente, un immaginario silente che evoca suggestioni metafisiche ma che non è semplice rifugio interiore, intimismo o isolamento romanticamente creativo, ma piuttosto mezzo necessario per focalizzare un’attualità frammentata di difficile ricomposizione, caotica e convulsa nelle tensioni schizofreniche di una società senza più un centro riconoscibile.

In questo budino esistenziale, Borghi ritaglia il proprio segmento, lo verticalizza concretizzando in scultura la sua ipotesi, formulando il proprio discorso. 

Dall’astrazione silente il passaggio successivo e l’indagine sull’intorno delle cose, quindi sulla loro temperatura, sul tonalismo di una materia colore come il corten, la lamiera che altera costantemente il cromatismo della propria superfice.

Di fatto è l’osservazione del vuoto che metaforicamente suggerisce l’attesa per una possibile presenza.

In un’attualità in cui il pieno bulimico e il comportamento competitivo è una costante di una società che si fa sempre più impermeabile a ciò che si pone fuori da sé stessa, interrogarsi sul vuoto, sull’atmosfera di ciò che avvolge le cose è un atto di riflessione polemica, di dissidenza artistica solo per il semplice fatto di considerare, in controtendenza, la possibilità di una compenetrazione, che equivale ad accogliere, ascoltate, attendere.

Forse la scultura di Borghi ci indicava già prima del marzo 2020 una strada alternativa, oggi ci restituisce in forma mirabile un passato appena vissuto.

Spetta a noi il peso della scelta futura: ritornare al caos indifferente o fare entrare nella vita di tutti i giorni il valore del silenzio, la forza dell’attesa, la tensione della pausa. (Lorenzio Fiorucci)

Foto crediti: Zoe Bartolini

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